MANGIASPAZIO
Testo critico di Simonetta Lux
Palazzo Chigi, Galleria Miralli, Viterbo
Anno 1992

Gianni Asdrubali ha sempre considerato, fin dal suo inizio, il “quadro” cioè il luogo delimitato da quattro lati in cui si inscrive una storia di segni come un frammento di un continuum gestuale/pittorico che si svolge, almeno due volte, col bianco e col nero, nello spazio vuoto e abitato, chiuso o aperto, naturale o infrastrutturato, squallido o composto, che lo circonda. Il “quadro” si dà quando il suo gesto, articolato al pennello e al pigmento, incontra la superficie, un ostacolo, e si fissa in figura, in stralcio.

Così nel ‘79, in un convegno di artisti all'Università di Roma, lui più giovane, raccontò con un carosello di 70 diapositive, il suo “muro magico”, cioè come nasceva la sua arte. L'inquietudine e l'insofferenza, nel suo nel suo percorso da allora, si sono come controllate in quadri sempre più grandi, in gesti pittorici costruttivi però frenati dal confine del ripiegarsi delle tele nei telai, dietro il quale si è abbattuto il suo innato libero gesto che vuole vòlto al tutto.

Oggi Asdrubali torna al “muro” dimenticando tele e telai, scegliendo supporti duri, resegando i bordi dei gesti che danno di nuovo labirinti sospesi nel nulla: li sovrappone l'uno all'altro e li fa casualmente sconfinare. Soprattutto, ribadisce che il suo gesto continua, che li opera non finisce in sé: e traccia oltre le sagome, fuori dell'opera fissata, ma in continuità necessaria con essa, altri segni. Così Asdrubali ritorna al vuoto e all’infinito con i quali la sua arte si accompagna.

Simonetta Lux