Tritratronico
Testo critico di Martina Corgnati
Speciale/ Artisti in copertina
Segno, 1996

Il lavoro di Gianni Asdrubali trae la propria origine non da una riflessione sullo stile ma piuttosto da un'idea individuale del mondo. Indifferente e sostanzialmente estraneo alle discussioni che hanno opposto frontalmente teorici e militanti della neoastrazione a teorici e militanti della neofigurazione, Asdrubali si è lasciato attraversare da questa logica di schieramenti interessati (che ad appena pochi anni di distanza rivela tutta la propria sostanziale debolezza) ben consapevole che l'opera è, in fondo, inattaccabile dagli acidi della codificazione e capace di conservare la propria integrità al di là di strumentalizzazioni solo provvisoriamente convincenti. Non si tratta di una questione di stile: Asdrubali resta, tutto sommato, fuori dal problema della neoastrazione come linguaggio, precipitato analitico, progetto di crisi che, aggirandosi intorno al "grado 0" della pittura (ottenuto attraverso una decantazione via via più radicale ma tutta e sempre interna al linguaggio pittorico) aspirava al recupero di una certa originalità e praticabilità del fare arte. Ingranaggio, insomma, logica, sistematizzata dall'intervento della critica tanto più sollecito ed efficace quanto più il lavoro degli artisti nasce già come stile, come parola e, in quanto tale rapidamente, perfettamente assimilabile.

Alla parola Asdrubali contrappone invece il corpo dell'immagine: il suo lavoro prende le mosse da una franca posizione nei confronti della vita e naturalmente anche dell'arte. "Per fare arte - scrive Asdrubali - bisogna essere il messaggio": tentare una sintesi, cioè, una vera e propria incarnazione, difficile in quanto basata su uno scarto minimo: lo scarto dinamico fra il vuoto che è stato e quello che sarà. In fondo, dagli anni Settanta ad oggi, Asdrubali non fa che ripetere questo tentativo di incarnazione, secondo una serie di varianti leggermente diverse. I suoi cicli, da Acidamente dell'82 ai Tromboloidi del '92 ai recentissimi Tritatronici, altro non sono che, come dice l'artista, "finite ed infinite iconografie del nulla".

gianni asdrubali tritratronico 1996

TRITRATRONICO

Pittura industriale su tela
Anno 1996

gianni asdrubali tritratronico 1996

TRITRATRONICO

Galleria d'Arte Moderna di Spoleto, Palazzo Racani-Arroni
Anno 1996

L'idea fondamentale, o meglio la sconcertante, illuminante constatazione di Asdrubali, verte sull'assoluta primarietà del vuoto (che si voglia chiamarlo bianco, parete, nulla o spazio, il risultato non cambia), unico vero protagonista e generatore di ogni immagine. L'artista quindi non parte dal segno e men che meno da sé. Parte dal soverchiante strapotere del vuoto non per rappresentare ma piuttosto per manifestare sintetiche e pulsionali, scattanti e nervose concrezioni di energia, attimi sospesi di un divenire violentemente in atto, efflorescenze entropiche sbocciate dal nulla, al nulla destinate, la lucidità di Asdrubali, il suo felice equilibrio di istintività e raziocinio, gli impone di rinunciare al resto. Nel corso del tempo poi si è venuta precisando una connotazione, sempre più evidente, di "autonomia" di queste opere, autonomia dimensionale che rende lo spazio duplice. Già i Tromboloidi parevano galleggiare, staccati dalla parete, sospesi in un vuoto ancora più radicale, ancora più esile, impalpabile, avvolgente e puro che in passato. Oggi le cose sono nuovamente, sensibilmente cambiate, anche se il discorso di Asdrubali resta sempre, fondamentalmente lo stesso. Lo spazio di fondo, infatti, risulta contaminato dalla presenza della pittura, si fa dato contingente, fenomenologico, materiale, vischioso: lo "sporco del mondo", lo definisce Asdrubali, rispetto al quale, per contrasto, l'opera risulta come depurata, lucente, luminosa, nuovamente immacolata. Il confronto si propone quindi, sostanzialmente, fra due tipi di energia: una carnale e sanguinolenta, l'altra piuttosto cosmica e "transustanziata", che, poste a contatto l'una con l'altra, sembrano esaltarsi reciprocamente pur nelle rispettive, evidenti, transitorietà, nel proprio destino di scomparsa, di sparizione, segnato anche dalla necessità che l'artista ultimamente manifesta, di lavorare direttamente sulla parete, di intervenire sull'ambiente per un tempo che, generalmente, non può che essere limitato dalle contingenze di un'esposizione. E' un ulteriore arricchimento e approfondimento delle circostanze in cui e per cui l'opera esiste.

Martina Corgnati