Astrazione Povera
Testo critico di Filiberto Menna
Studio Marconi Milano
Anno 1987

C’è una nuova situazione artistica che si è venuta delineando con una fisionomia piuttosto precisa a partire dagli inizi degli anni Ottanta e che ha assunto una postazione lontana, e in qualche modo alternativa, rispetto ad altre aree meno recenti e più consolidate, sia dal punto di vista della fortuna critica che di quella del mercato. Una situazione nuova segnata da presenze sicure, già bene individuate e riconoscibili.
Antonio Capaccio, Antonio Rossano, Gianni Asdrubali, Rocco Salvia, Lucia Romualdi, Bruno Querci, Annibel-Cunoldi, Mimmo Grillo sono venuti alla ribalta in questi ultimi sei-sette anni, soprattutto sulla scena romana, fornendoci i termini di riferimento indispensabili per cogliere alcuni dei nuovi e più significativi orientamenti dell'esperienza artistica odierna, intorno ai quali si concentra l'attenzione critica di questa mostra.
L'idea non è di oggi, naturalmente: personalmente seguo da qualche tempo il lavoro di questi artisti e dalla loro opera ho preso in parte lo spunto per l'approfondimento di una proposta critica tendente a individuare una serie di esperienze sorrette da una ben determinata intenzionalità di costruzione. Uno scandaglio che ha alcuni punti di riferimento precisi, quali la mostra “Costruttività” (Aosta, 1982), una rassegna della scultura attuale, “Tridimensionale” (Termoli, 1983), la “Soglia” (Pordenone, 1985), che già nel sottotitolo - “L’opera d’arte tra riduzione e costruzione” – rende esplicito il senso complessivo di questa mia ricognizione critica, e ancora “Il meno è il più” (Erice, 1986) e “L’Astrazione Povera” (Genova, 1986-87). Chiedo scusa al lettore per questo excursus bibliografico, che deve almeno servire a spiegare la presenza, in questo testo, di idee e preposizioni precedenti e, perché no, a rivendicare qualche diritto di priorità, che non sempre la critica venuta dopo sembra disposta a riconoscere.

gianni asdrubali nemico 1987

NEMICO

Pittura industriale su tela
70 x 100 cm
Anno 1987

Diciamo, allora, che questa mostra vuole confermare la presenza di importanti elementi di novità nella situazione artistica italiana d'oggi, di fermenti e riuscite che trovano, peraltro, non casuali analogie e corrispondenze con alcuni fatti artistici recentemente apparsi anche sulla scena internazionale. E non sto parlando, si badi, delle cosiddette nuove geometrie, soprattutto statunitensi, ho si situano ancora nell'arte del citazionismo e delle contaminazioni linguistiche. Il tratto che unisce queste nuove esperienze, al di là delle notevoli differenze esistenti tra i contesti culturali e le singole personalità, è la nuova attenzione rivolta a procedimenti formativi più marcatamente sorretti da una intenzionalità di costruzione, da una esigenza di un più forte controllo mentale, da una riproposta della centralità della struttura sintattica dell'opera. In queste nuove declinazioni dell'arte, della pittura come della scultura, non hanno più corso, quindi, le parole d'ordine ricorrenti fino a qualche tempo addietro, quali eclettismo, nomadismo, storicismo, anacronismo e simili. Gli artisti presenti in questa mostra rifiutano, dunque, le vie fin qui più frequentate e confortevoli e si attestano, con consapevolezza critica, su una linea sottile, in un luogo ristretto, e in qualche misura impervio, e di qui riprendono il filo di un fare artistico che punta sulla praticabilità attuale di una idea di costruzione, muovendo da un atteggiamento preliminare, e in qualche modo fondativo, di riduzione. Per questa ragione essi si contrappongono in maniera netta agli orientamenti di una pittura che ha puntato tutto sul pieno, sull'ingombro, sulla sovrabbondanza coloristica, materica, narrativa, espressiva. Allo slogan lyotardiano secondo cui "si può leggere tutto e in tutte le maniere", che è diventato un po' la bandiera del "risorgimento" pittorico postmoderno maturato alla fine degli anni settanta, gli artisti della nuova situazione oppongono una più acuta coscienza del limite, del particolare, e la esigenza di realizzare delle forme che abbiano anzitutto valore per se stesse.

gianni asdrubali eroica 1988

EROICA

Pittura industriale su tela
150 x 160 cm
Anno 1988

L'opera non è il luogo della citazione, della fabula o della espressività immediata del soggetto, ma il punto di arrivo di un procedimento che nasce e si sviluppa secondo una coerenza interna, sulla base di uno spostamento di accento dalla dominante semantica a quella sintattica. L'attenzione degli artisti si concentra, cioè, sulla relazione interna dei segni, ma la loro è una sintassi che sfugge a ogni rigorismo progettuale per compromettersi con la complessità e l'accidentalità della fattura, di cui vengono riconosciuti i diritti senza però sopravalutarne il ruolo, senza cioè accoglierne eventuali pretese di protagonismo nei confronti della dimensione mentale, riflessiva.
Di qui una pratica della pittura che punta sulla riduzione linguistica, che volge le spalle alle apparenze fenomeniche e, una volta abolita l'immagine-icona, si tiene lontana persino dal rumore che può continuare a sprigionarsi dal colore, privilegiando l'impiego esclusivo del bianco e del nero e delle gradienze intermedie dei grigi. Per questi artisti l'astrazione è un dunque una scelta linguistica, ma è anche il segno di un atteggiamento etico, che predilige il tema del vuoto e dell'assenza e vive l'esperienza dell'arte quasi come una pratica iniziatica, in cui non manca neppure una componente ascetica: un'astrazione che può dir si anche povera ove si elimini ogni connotazione penitenziale del termine e lo si assuma, invece, per sottolineare l'esigenza di contrapporre al rumore del mondo uno spazio concentrato e silenzioso dove l'artista può mettere a punto gli attrezzi minimi, quelli assolutamente indispensabili, per intraprendere la costruzione del nuovo.

Nell'opera di questi artisti si ripropone la questione del soggetto e ancora una volta incontriamo una condizione di limite, di confine, nel senso che essi non scelgono né il soggetto pieno della tradizione razionalista né il soggetto decentrato, disperso, nomade, eclettico della condizione post-moderna: al fondamento del loro lavoro è possibile cogliere, piuttosto, nuclei di soggettività, luoghi provvisori di condensazione che si rivelano nella presenza di un dettaglio, di un frammento di storia non identificabile nel dato referenziale ma riconducibile certamente a una condizione di esistenza. Il fatto è che il soggetto di cui si parla e che parla questa pittura è un "soggetto nascosto", che si sottrae al superfluo per cogliere, attraverso tracce e segni minimi, il momento di germinazione della pòiesis. Il soggetto nasce e matura dentro la pratica pittorica sentita come passaggio non "dallo stesso allo stesso", ma come tramite al diverso della elaborazione creativa e di procedimenti più oggettivi che presiedono alla costruzione dell'opera. Dietro la calma dello spazio teorico il fluire delle circolazioni sommerse, l'alternanza del vuoto e del pieno sul filo di sottili e sempre precari equilibri, la contrazione o la liberazione del gesto, la sbavatura di un segno o la sgranatura della materia parlano, appunto, delle vicende di un soggetto che nello stesso tempo si mostra e nasconde.

Filiberto Menna





La Costruzione del Vuoto
Testo critico di Filiberto Menna
Nuova Prearo Editore, Milano
1987

Guardo un'opera di Gianni Asdrubali e mi dico: “Questa è una pittura di affermazione”. Il gesto è deciso, perentorio, veicola e struttura l'interna energia, la trasferisce, per mezzo della materia pittorica, in segni che si accampano sulla superficie con una presenza priva di timidezze. Il nero e il bianco conducono il gioco, escludono ogni altra intrusione, prendendosi tutta la responsabilità di parlare anche del colore, senza il quale non vi può essere pittura. I segni entrano nello spazio della tela sospinti da una forza che viene da lontano, da una oscura profondità, la convertono in una struttura fortemente organizzata, la agiscono come attori protagonisti che amano presentarsi alla ribalta assumendo atteggiamenti eloquenti, al limite della monumentalità. Di qui la forza d'impatto che si sprigiona da queste vaste superfici; di qui la fascinazione quasi ipnotica che esse esercitano sullo spettatore proprio in virtù dei segni che si espandono da tutte le parti e danno l'impressione di voler uscir fuori dalla cornice e invadere lo spazio circostante.

gianni asdrubali bestia 1986

BESTIA

Pittura industriale su tela
Anno 1986

Guardo l'opera di Asdrubali e riconosco in essa la presenza, anche fisica, dell'artista, quel suo muoversi avvolto dentro una rete di gesti scattanti, segnati da un avvio veloce e spesso da bruschi arresti e inversioni di marcia. L'aggressività del comportamento, irta come una corazza, impone un impatto ancora una volta perentorio con l'interlocutore, ma si apre in improvvise rime di fratture, buchi, vuoti. Anche qui una corrispondenza con l'opera dove i segni pieni racchiudono spazi vuoti, concavità, vortici, spirali che risucchiano lo sguardo nella profondità illusiva (e allusiva) del quadro.

La pittura di Asdrubali disegna una mappa di accadimenti conflittuali, è costellata di luoghi di contraddizione, di scontri tra forze sospinte da opposte sollecitazioni. L'artista non si sottrae alla loro azione, piuttosto si fa consapevolmente agire da esse, dà loro libero varco, accogliendole come momenti di feconda germinazione poetica. Per giunta, ha l'accortezza di stabilire in anticipo il campo dello scontro, dosandone l'ampiezza e le direzioni privilegiate senza mai .dilatarlo eccessivamente: sicché l'irrompere dell'energia e dei segni che la trasportano (e ne sono trascinati) trasformano la superficie in un maelstrom tempestoso.
Asdrubali è pienamente consapevole di quello che fa e alcuni tratti ti l suo diario critico lo dimostrano con tutta evidenza: “Massima concentrazione e massima costrizione di tutte le forze in gioco. Il problema che più mi intriga e dal quale sento nascere una nuova possibilità di senso è quello di raggiungere un unicum contraddittorio, questo avviene nella sintesi di tutte le forze in gioco”. Mi sembra utile sottolineare i termini “unicum” e “sintesi” che ci aprono un varco ulteriore sulla complessità dell'opera di Asdrubali, incessantemente attraversata da sollecitazioni contrarie, per cui la parola piena si capovolge nel suo contrario, e la perentorietà del segno ci introduce in una meditazione sul tema del silenzio, dell'assenza e del vuoto.

gianni asdrubali aggancio 1986

AGGANCIO

Pittura industriale su tela
223 x 190 cm
Anno 1986

In questo Asdrubali condivide pienamente una esigenza che viene delineandosi da alcuni anni in modi sempre più precisi e articolati che si manifesta, con declinazioni naturalmente diverse, nell'opera di non pochi artisti. Si tratta di un orientamento spirituale e linguistico sul quale ho già richiamato più volte l'attenzione (mi sia consentito ricordare almeno le ultime due proposte critiche della “Soglia, L’opera d’arte tra riduzione e costruzione” e del “Meno è il più. Per un’Astrazione povera”): si tratta di un atteggiamento, etico ed estetico insieme, che si contrappone alle pratiche pittoriche più correnti che puntano invece sul pieno, sull'ingombro narrativo, espressivo ,cromatico e materico. Di qui una pittura che rifiuta la rappresentazione, che volge le spalle alle apparenze fenomeniche e, una volta abolita l'immagine-icona, si tiene lontana persino dal rumore che può continuare a sprigionarsi dal colore, affidandosi interamente all'impiego del bianco e del nero. Per questi artisti l'astrazione è dunque una scelta linguistica, ma è anche un segno più complesso, di una volontà di riduzione, di contrapporre al Più di tutto il Meno di un spazio concentrato e silenzioso dove poter mettere a punto gli attrezzi minimi, quelli assolutamente indispensabili, per intraprendere la costruzione del nuovo. Nell'opera di Asdrubali ritroviamo, dunque, una serie di temi ricorrenti, quali il meno , il vuoto, l'assenza, l'astrazione, ma tutti questi termini assumono, qui, una significazione complementare alla lettera, indicano cioè una esperienza positiva, attiva, dirompente persino. Di qui la condizione di soglia che caratterizza l'opera di Asdrubali (ma, lo si è visto, non la sua soltanto) e che si manifesta, appunto come un luogo di contraddizione, dove riduzione e costruzione non sono momenti successivi, l'uno propedeutico all'altro, ma coesistono in uno stesso punto, in una sorta di luogo intermedio, di limite o confine o soglia, appunto, da cui è possibile guardare simultaneamente sui due opposti versanti.

gianni asdrubali eroica 1988

EROICA

Pittura industriale su tela
223 x 190 cm
Anno 1988

“Io costruisco il vuoto”. “Si può dire che la mia pittura è piena di vuoto”. “Il vuoto è solido come il marmo”: ecco alcune dichiarazioni dell'artista che hanno tutta l'aria di figure retoriche in cui coesistono affermazione e negazione, il vuoto diventa la materia prima di un procedimento costruttivo, la pittura è piena di vuoto, e questo non è qualcosa di vago e impalpabile, ma ha la solidità, la durezza, la durata del marmo. L'artista è mosso da una esigenza di solidificazione e si comprende come la gestualità, che presiede alla formazione dell'opera e che richiama in qualche misura l'energia dell'action painter, subisca, qui, una sorta di raffreddamento: il gesto è come rallentato, sembra bloccarsi in una solidissima definizione formale,come una colata lavica che si rapprende e pietrifica. Per quanto lontano, il punto di riferimento è Cézanne, il mare dell'Estaque duro come una lavagna: “Tutto questo tende al marmo, a qualcosa di solido che duri nel tempo. In questo mi sento molto vicino a Cézanne”. L'opera non diventa, tuttavia, un luogo neutrale dove le contrastanti sollecitazioni trovano un punto di incontro e di pacificazione; al contrario, essa nasce sotto la spinta di esigenze opposte e giunge a compimento nel punto della massima contraddittorietà, nel momento in cui l'immagine afferma e nello stesso tempo nega se stessa e dentro la struttura complessiva del quadro il vuoto fa sentire il pieno, il pieno il vuoto. L'artista conduce il gioco identificandosi di volta in volta con tutti i segni che agiscono come dramatis personae, ciascuno facente la sua parte fino in fondo, nella messa in scena dell'opera. Ancora una volta l'esperienza artistica di Asdrubali reca un accento proprio in una situazione artistica più diramata e diffusa in cui è possibile cogliere l'insorgenza di procedimenti formativi più decisamente orientati in senso costruttivo. Di qui la condizione di soglia che ho già cercato di definire nel delimitare il campo delle nuove esperienze dell'arte attuale: una condizione che tematizza il limite, che coniuga nello stesso tempo ciò che appare e ciò che sta per sparire, che si fonda su una immagine che non è una immagine. La stessa idea di costruzione viene proposta in termini nuovi, nel senso che essa è vista anche dal suo versante in ombra, dalla sua parte nascosta. è appunto costruzione del vuoto, come dice Asdrubali sfidando il principio di non-contraddizione.

Filiberto Menna